Il “tira-molla” sulla crisi ucraina sembra sempre più la conferma che nessuno, in fondo, ha voglia di guerra. E non solo nel senso stretto del termine (quella, in realtà, anche se non coinvolge l’Ucraina tutta, ma solo la regione del Donbass, dove si spara da anni e la tensione è ulteriormente cresciuta in questi giorni, con i separatisti russi che hanno lanciato diversi attacchi). Ben più grave, in termini economici, sarebbe infatti quella delle sanzioni.
Se guardiamo all’interscambio commerciali tra i Paesi UE e la Russia, salta subito all’occhio una differenza notevole: i Paesi UE esportano verso la Russia beni per un valore non superiore al 2% del PIL (se prendiamo le maggiori 4 economie – Germania, Francia, Italia, Spagna – si arriva a circa € 10.000 MD – dati 2021 – per cui si parla di circa € 200MD, cifra poi non così modesta). Di contro, come ricordato recentemente, l’Europa importa dalla Russia poco meno del 40% del proprio fabbisogno di gas: ci sono Paesi come la Germania e la Finlandia che arrivano addirittura al 70%, altri, come il nostro, che si fermano al 40% (oltre alle rinnovabili, l’unica risorsa energetica che possediamo è il gas: non a caso l’obiettivo del Governo è innalzare la produzione dagli attuali 3,2MD di mq ad almeno 5 MD).
La valenza economica dei rapporti tra Europa e Russia è del tutto evidente.
Se è vero che la Russia difficilmente potrebbe permettersi di dare a meno degli € che affluiscono grazie alle forniture di materie prime, principale, se non unico, asset di cui dispone, è altresì vero che l’Europa si troverebbe a fronteggiare una gravissima crisi energetica.
In caso di “chiusura dei rubinetti”, le riserve di cui dispone le permetterebbero di arrivare a malapena ad aprile. La prima conseguenza sarebbe il rincaro del petrolio, il cui prezzo potrebbe volare sino a $ 120-140 (ieri era a circa $ 91, valore comunque già piuttosto elevato). Ovviamente l’aumento dei prezzi di gas e petrolio da una parte e riduzione delle forniture dall’altra avrebbe una duplice ricaduta: un’ulteriore crescita dell’inflazione e una nuova frenata del PIL. Dall’attuale 5,1% (ultima rilevazione di gennaio), si salirebbe di almeno 1 punto percentuale, mentre sarebbe sufficiente un calo delle forniture di gas del 10% per provocare una riduzione del PIL pari a mezzo punto percentuale su base trimestrale.
La “partita a poker” tra diplomazie quindi continua. Al di là del viaggio del nostro Premier Draghi, che nei prossimi giorni volerà a Mosca per incontrare il Presidente Putin, nella tarda serata americana è giunta la notizia che il Segretario di Stato Blinken si incontrerà, probabilmente a Ginevra, con il suo omologo russo Lavrov, mentre oggi potrebbe tenersi un meeting a distanza tra Biden e i leader europei. Insomma, continuare ad alzare la tensione in realtà potrebbe nascondere il tentativo di portare a casa il massimo risultato possibile in termini negoziali da entrambe le parti.
Dopo la nuova caduta dei listini americani di ieri, le voci del riavvicinamento diplomatico tra USA e Russia questa mattina fa respirare i mercati. Chiusure in recupero, anche se parzialmente contrastate, per i listini del far east asiatico: Nikkei – 0,41%, Shanghai + 0,66%, Honk Kong – 1,58%. Fa riflettere il dato sull’inflazione in Giappone: i prezzi sono quasi fermi, con una progressione, a gennaio, è stata di un modestissimo 0,2%, in forte diminuzione rispetto allo 0,5% del mese precedente: niente se paragonato a quanto sta succedendo dalle nostre parti. Vero che in quel Paese i prezzi non si muovono da decenni (in alcuni anni addirittura in discesa), ma anche lì gli interventi per sostenere l’economia sono stati molteplici.
Futures tutti in rialzo grazie al calo delle tensioni geopolitiche.
Continua, dopo quella di ieri, la discesa del petrolio, che questa mattina fa segnare (WTI) $ 89,41.
Gas naturale a $ 4,433 (- 1,40%).
Oro che torna sotto i $ 1.900 (1.894) dopo l’exploit di ieri.
Spread a 161 bp, nonostante le nuove tensioni politiche, con il Governo “andato sotto” in ben 4 votazioni alla Commissione della Camera, costringendo Draghi ad anticipare il rientro da Bruxelles per salire al Colle per incontrare il Presidente Mattarella, con cui ha definito di seguire la linea “dura” verso i partiti che sostengono (?) il Governo. Rendimento dei BTP comunque in leggero calo grazie alla discesa del Bund, ieri a 0,23%.
€/$ stabile a 1.1372.
Scivolone del Bitcoin, in ribasso a $ 40.665 (- 7,5%).
Ps: che tutto fosse in “vendita” lo si sapeva. Nel caso fosse rimasto qualche dubbio, da oggi è fugato. Il marchio degli “All blacks”, la nazionale di rugby della Nuova Zelanda, è stato valutato $ 2MD dal Fondo di Private Equity Silver Lake Partners che ha acquistato il 10% per un valore di $ 200ML. La “haka”, che forse ha reso famosa la squadra neozelandese più dei loro successi, parlerà quindi un po’ americano.